Repubblica o Monarchia ? Politica o Economia?

Marco Venturelli5 Gennaio 2024
Repubblica o Monarchia ? Politica o Economia?

“C’è ancora domani” il film di successo di Paola Cortellesi celebra un momento speciale del movimento di equiparazione dei diritti tra generi: il 2 giugno 1946 le donne italiane furono per la prima volta e finalmente chiamate alle urne a votare. Era importante decidere se l’Italia dovesse rimanere una monarchia o diventare una Repubblica e il governo di allora ritenne rilevante includere “l’ opinione  femminile”. Per dare un po’ di contesto: il voto alle donne in UK venne concesso nel 1928, in Francia nel 1944 e le Nazioni Unite lo inserirono tra i diritti della Dichiarazione Universale del 1948.

Repubblica o Monarchia ? Politica o Economia?

Il voto concesso nel 1946 fu un momento di grande successo per l’equiparazione e l’emancipazione femminile o una scelta “calcolata” dei rappresentanti delle élite del sistema capitalistico e di potere per mantenere il Paese Italia ed i (le) poveri (e) sotto controllo?

Le scene conclusive del film rappresentano bene la gioia, le lacrime, i sorrisi, le speranze delle tante donne  che come Delia la protagonista, si affollarono ai seggi. Quel giorno fu magico, come ricorda la giornalista Anna Garofalo: «Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere, hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore.».

Il diritto di voto. Il diritto di essere ascoltate, il diritto di contare. Già nel 1919, però il prof. Zini preconizzava, in una lezione intitolata “Da cittadino a produttore” che: “nella democrazia capitalistica, il cittadino è sovrano solo il giorno delle elezioni, tutto il resto del tempo non è che un soggetto subordinato a leggi e regolamenti, redatti e promulgati al di fuori del suo effettivo concorso”.

Tuttavia, per le protagoniste di allora, una testimonianza tra milioni, riassume bene lo stato d’animo: “La fila lunghissima. La ragazza davanti piena di paura: «E se sbaglio?». L’immagine riaffiora davanti agli occhi di come se l’avesse vista ieri. Mattina del 2 giugno 1946, Roma, la prima volta al voto delle donne: «Il cuore mi scoppiava nel petto. Per arrivare a quel giorno avevamo tanto lottato e tanto sofferto». «E quel 2 giugno ho provato l’emozione più grande. Capivamo che c’era un ruolo, per noi. Che era sacrosanto pretenderlo e agirlo». Così racconta ad Avvenire nel 2021 la centenaria Maria Lisa (Marisa) Cinciari Rodano.

Economia e Politica : Monarchia o Repubblica ?

Repubblica o Monarchia ? Politica o Economia?

La citazione del prof. Zini è tratta da un libro recente la cui lettura ha ispirato questo articolo e le riflessioni in esso contenute. Il libro di Clara E. Mattei “L’economia è politica”, edito nel 2023 da Fuori Scena, sostiene che anche oggi siamo di fronte ad una scelta.

Economia o Politica?

Dove ci ha portato  il primato dell’Economia e l’autogiustificazione del sistema finanziario capitalistico? Viviamo in un mondo giusto dove le opportunità sono date in base all’ “essere umani” o il sistema difende i privilegi di pochi?

Come la Monarchia allora non fu capace di impedire il disastro della guerra, il sistema attuale guidato da un élite potente, saprà affrontare le sfide socio economiche del cambiamento climatico, il recupero post Covid, l’estensione della belligeranza ed i conflitti, l’impoverimento della classe media e dei giovani, ponendosi obbiettivi di “bene comune” e quindi di Politica o difenderà i privilegi che una visione Economicista del mondo ha permesso di riacquistare ed incrementare nel dopoguerra?

 In Europa soprattutto, il disastro delle due guerre, come ci racconta Picketty nel suo volume, “Capitale ed Ideologia”, aveva avvicinato la distanza tra i super ricchi ed i poveri e dopo il picco dei ruggenti anni 20 del novecento, la distanza tra benestanti e classe media, in particolare, si era ridotta, perché la guerra non aveva fatto distinzioni di ceto sociale e lo sforzo bellico del paese aveva “democraticizzato” la partecipazione al mondo produttivo, ad esempio allargando la partecipazione femminile.

Se non mediata dalla Poltica, l’interesse ed il bene comune soggiaceranno agli obbiettivi finanziari di “austerità” da raggiungere in termini di deficit, indebitamento, con riduzione della spesa sociale ed impoverimento diffuso?

Il libro tratta dei legami tra Economia e Politica: oggi, sostiene Mattei, le élite ed i superricchi ci fanno credere che il sistema capitalistico esistente e le sue regole economiche siano, non solo le migliori per la democrazia, ma anche le uniche possibili. La Politica e le scelte di distribuzione del reddito, o quelle sulla sanità o la scuola, ad esempio, nel capitalismo corrente, devono essere subordinate all’ Economia ed alle istituzioni internazionali preposte a governarla (Banche Centrali) per “il bene comune”. Solo così si rimane liberi ed in democrazia. (Ci dicono)

Così come negli anni 20 del novecento, ci racconta Mattei, l’occupazione e la collettivizzazione di molte fabbriche in Italia aveva generato un movimento “bolscevico” – con i termini di allora – che impaurì la élite del tempo, così la ricostruzione post bellica degli anni quaranta e cinquanta, se lasciata alla masse avrebbe potuto portare ad un ribaltamento del sistema di potere. Non aver dato il voto alle donne che avevano sostenuto in modo importante il disastro bellico avrebbe probabilmente destabilizzato il sistema.

Ma ritorniamo all’evento del 2 giugno 1946.

Vediamo come la Politica ci racconta oggi il voto alle donne di allora e le sue ragioni:

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 Le donne e il voto del 1946

(dal il sito della Presidenza del Consiglio per la celebrazione del settantesimo dell’evento):

Il diritto del voto alle donne è una grande conquista seppur recente: sono passati 70 anni (ndr oggi nel 2024 sono 78)  dal decreto del 10 marzo 1946 che permise alle donne con almeno 25 anni di età di poter eleggere e essere elette alle prime elezioni amministrative postbelliche. Una conquista importante che quest’anno vede numerose celebrazioni in tutto il paese per il 70esimo anniversario del suffragio universale e il 70esimo anniversario della Repubblica.

All’inizio del secolo scorso la donna era ritenuta una sorta di accessorio dell’uomo. Nel lento cammino verso l’uguaglianza dei diritti, arriva la Prima Guerra Mondiale: le donne sono impegnate, per necessità, nei lavori di responsabilità fino ad ora delegati all’uomo. Con il fascismo la donna torna a lavorare ma a ricoprire la figura della regina della casa. È ancora una volta con la guerra, il secondo conflitto mondiale, che la donna torna ad assaporare una sorta di parità con gli uomini. Durante la Resistenza sono molte le donne che divennero staffette, informatrici e parte attiva della lotta contro l’occupazione nazi fascista.

Una volta terminata la guerra, l’esperienza della Resistenza e della Liberazione, era divenuta oramai un punto di non ritorno per il paese e anche per i diritti delle donne.

In occasione del Consiglio dei Ministri del 30 gennaio 1945 venne esaminata per la prima volta l’estensione del voto alle donne dai 21 anni, sancita con il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 31 gennaio 1945. Ma è il decreto n.74 del 10 marzo 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative postbelliche, che le donne con almeno 25 anni di età potevano eleggere ma soprattutto essere elette

Si avvicinava la data del 2 giugno, quella del voto per eleggere l’Assemblea Costituente, che avrebbe poi redatto la Costituzione Italiana, e contestualmente del referendum per scegliere il futuro assetto politico del paese: Monarchia  o Repubblica?

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La sintesi della Presidenza del Consiglio è sorprendente e conferma, a mio avviso, ahimè, la tesi che le élite economico finanziarie dominano anche la Politica e le scelte di equità per i cittadini.

All’inizio la donna era “accessorio” ma impegnandosi nei lavori destinati all’ uomo, diventando “salariata”direbbe Mattei, venne presa in considerazione dalla Politica.

L’ Economia, dopo la prima guerra mondiale, si trovò infatti a gestire masse di donne salariate che assieme ai reduci rientrati dalla guerra costituivano la forza lavoro, il proletariato si direbbe marxianamente, di una Italia da ricostruire.

Questa massa di sfruttati, ci racconta Mattei, nel 1920, quando donne ed uomini operai avevano occupato le grandi fabbriche, proponevano un modello di autogestione, regolato da Consigli di fabbrica dove Politica ed Economia trovavano sintesi. Sulla spinta dei cambiamenti post rivoluzione russa, la nuova democrazia delle fabbriche riconosceva al lavoratore/trice il ruolo di “creatore di valore” e non di “salariato” che vende la sua sola ricchezza, le ore di lavoro e fatica.

Racconta Mattei: “Nel momento in cui il collettivismo di guerra aveva sfidato l’efficienza del libero mercato ed i cittadini organizzati che non erano più disponibili all’ essere sfruttati”, serviva ripristinare, attraverso l’austerità, un modello di Economia che non mettesse a rischio le élite. Solo l’autoritarismo del Fascismo con l’obbiettivo del pareggio di bilancio, tanto auspicato dalle élite economiche britanniche, allora il riferimento per l’Europa, permise di ribaltare la situazione. Austerità fiscale sui consumi a scapito dei poveri, tassazione dei molti salariati, austerità monetaria con riduzione di salari e sussidi. Gli economisti liberali, distanti dal fascismo ma concordi che salari sufficientemente bassi avrebbero generato risultati ottimali per il mercato si schierarono a favore.

Per le donne ci ricorda il sito del Ministero “Con il fascismo la donna torna a lavorare ma a ricoprire la figura della regina della casa” come parte di una evidente volontà di riportare alla condizione pre bellica quella della donna, sfruttata nell’ambiente domestico e allontanata dal sistema produttivo.

Qual’era la condizione della donna casalinga verso la fine dell’ 800?

Un bell’ articolo su Finestre dell’ Arte del 2018: “Il lavoro femminile nell’ arte” ci permette di visualizzare la situazione.

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Repubblica o Monarchia ? Politica o Economia?

Studî recenti hanno anche dimostrato come la fitta presenza di donne nel sistema lavorativo di fine Ottocento abbia contribuito a formare e modellare una nuova identità femminile: i contatti con realtà esterne allo stretto ambito familiare, e la partecipazione ai movimenti operai e alle agitazioni condussero progressivamente le donne (europee e italiane, specialmente nelle grandi città industriali) a prendere coscienza della propria condizione, ad acquisire consapevolezza dei proprî diritti, e a garantirsi una maggior autonomia rispetto ai ruoli cui l’istituto della famiglia intendeva relegarle. Fu soprattutto l’esperienza nelle fabbriche a spingere le donne verso una nuova coscienza di sé: in simili contesti, le lavoratrici potevano rendersi conto delle proprie abilità, e vivere nuovi tipi di relazioni che erano loro preclusi nello stretto ambito familiare (si pensi a cosa potesse significare, per una donna di fine Ottocento, fino ad allora sostanzialmente relegata alle mura domestiche o ai semplici rapporti di vicinato, condividere la propria esperienza con le colleghe all’interno di una realtà grande). Si assistette anche a un aumento della presenza femminile nelle associazioni sindacali per quanto, tuttavia, ancora a inizio Novecento, e anche all’interno degli stessi sindacati, fosse radicato il pregiudizio secondo cui il lavoro nelle fabbriche non era adatto alle donne, che avrebbero dovuto, semmai, dedicarsi alla cura della casa.

E proprio all’interno delle case, peraltro, si svolgeva gran parte del lavoro femminile. Il lavoro domestico, pur godendo di scarsa considerazione sociale, era vitale per l’economia familiare: dal lavoro domestico si traevano importanti risorse per il sostentamento della famiglia, sia quando le donne lavoravano per lo stretto fabbisogno familiare, sia quando eseguivano lavori su commissione (anche se la storiografia ha ormai ampiamente riscontrato che, molto spesso, il lavoro a domicilio era comunque insufficiente per garantire alla donna e alla sua famiglia un’esistenza dignitosa). Si trattava soprattutto di lavori legati a saperi artigianali che ci si tramandava di generazione in generazione e per i quali si registrò, tra Otto e Novecento, e soprattutto nel nord Italia e nelle grandi città, un forte aumento della domanda, dovuto al fatto che la nuova borghesia urbana, ha scritto la storica Alessandra Pescarolo, “alimentava una domanda incredibilmente variegata di oggetti, funzionali o ornamentali, plasmati comunque da una sensibilità estetica carica di decorativismo, che erano prodotti manualmente a domicilio senza alcuna preoccupazione per la razionalizzazione e la standardizzazione che la meccanizzazione avrebbe successivamente imposto”. Le donne, dunque, lavorano spesso a casa come sarte, cucitrici, filatrici, ricamatrici, legatrici, fabbricanti di giocattoli, addette alla lavorazione di trine, pizzi, merletti, accessorî assortiti. Si trattava tuttavia di attività a bassissimo costo che facevano leva, secondo Pescarolo, sulla “disponibilità delle donne del proletariato urbano allo spreco estremo di se stesse e delle proprie energie”.

L’aspetto triste e dimesso della Filatrice dipinta dal milanese Gerolamo Induno (Milano, 1825 – 1890), che attende al proprio lavoro di filatura in un interno domestico spoglio e sporco, con le pareti scrostate e con gli oggetti gettati per terra che insozzano il pavimento, è una sorta di manifesto involontario della condizione della lavoratrice domestica femminile negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia (involontario perché probabilmente l’artista, con la sua minuzia narrativa riconosciutagli anche dai critici suoi contemporanei, mirava a riprodurre fedelmente un momento di vita quotidiana, a dipingere una scena di mantenere scevra di qualsiasi connotato politico, più che a fare denuncia sociale).  

Se si considera che in uno studio del 1880 condotto da Vittorio Ellena (che dodici anni dopo sarebbe diventato ministro delle finanze nel primo governo Giolitti) erano stati censiti, in quasi tutta l’Italia, ben 229.538 telai casalinghi, si può facilmente immaginare quanto fossero comuni scene come quelle dipinte da Induno.

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Il Dopoguerra

 È ancora una volta con la guerra, il secondo conflitto mondiale, che la donna torna ad assaporare una sorta di parità con gli uomini. Durante la Resistenza sono molte le donne che divennero staffette, informatrici e parte attiva della lotta contro l’occupazione nazi fascista.

Una volta terminata la guerra, l’esperienza della Resistenza e della Liberazione, era divenuta oramai un punto di non ritorno per il paese e anche per i diritti delle donne.

Delia la protagonista del film è casalinga che, come quella rappresentata nel quadro di Induno, svolgeva a domicilio, in nero e sottopagata una serie di attività artigianali, oltre ad essere domestica ad ore presso una famiglia benestante. Anche se inserita in una società che subordinava la donna alla famiglia regolata dal volere dell’uomo, come ci riporta il sito della Presidenza del Consiglio, Delia cercava una sua indipendenza, risparmiando di nascosto dal marito per costruire un futuro alla figlia, emancipandosi in collegamento con altre donne, la verduraia ad esempio, per trovarsi un ruolo diverso.

Per le élite dell’epoca non riconoscere un ruolo alle tante che si erano emancipate era probabilmente impossibile ed ansiogeno. Come ci ricorda Zini, la sovranità tanto sarebbe stata solo il giorno del voto, poi l’élite avrebbe gestito a suo modo l’emancipazione femminile, assicurandosi di mantenerle “in posizione subordinata” per ancora molti molti anni.

L’élite ha così potuto disporre di una massa di “salariate” con parità di voto ma soggette alle regole dell’ Economia e sfruttate.

E’ stato sorprendente per me scoprire che un testo tanto maschilista che racconta il percorso al diritto di voto, sia quello ufficiale dell Presidenza del Consiglio, ma lo interpreto come una conferma che la Politica, con il voto alle donne nel 1946, diede semplicemente un “contentino” ad una massa di cittadine che avrebbero potenzialmente avuto il diritto a ben altro trattamento se la Politica, non controllata dall’ Economia avesse avuto la prevalenza.

Il poter beneficiare di una massa di lavoratrici sotto pagate ha sicuramente contribuito alla fortissima crescita italiana del dopoguerra ed alla creazione di una classe media. Molto lavoro nero ha permesso di ristabilire poi le distanze tra “i benestanti” ed i poveri, ritornando a curve di concentrazione della ricchezza simili ai ruggenti anni 1920.

L’ élite rallenta il processo di equiparazione delle “salariate”

Per chi non fosse ancora convinto della validità dell’analisi che sto condividendo, riassumo di seguito, che a 78 anni da quel voto, l’equiparazione economica delle donne non si è realizzata. Lentamente con provvedimenti controllati per evitare stravolgimenti economici ed impatti sui profitti e le rendite dei ricchi la metà della popolazione italiana ha risalito la china ma non ha ancora raggiunto la parità.

Il diritto delle donne lavoratrici nel Dopoguerra è di fatto asservito alle logiche dell’ Economia:

  • pu con una legge sullà parità salariale del 1977 oggi non è raggiunta con le donne che guadagnano mediamente -10/15% a parità di posizione;  
  • solo nel 1963 si introducono leggi che vietano il licenziamento per matrimonio (ma quante dimissioni in bianco vennero richieste successivamente?);
  • nel 1975, nuovo diritto di famiglia, l’onere dell’istruzione dei figli, a carico delle donne, viene attribuito ad entrambi i genitori; politiche serie a sostegno di asili nido, conciliazione famiglia lavoro sono assenti in Italia che vanta a livello europeo il più basso tasso di occupazione femminile;
  • nel 1991 azioni a favore della parità uomo donna; 1992 sostegno imprenditoria femminile; 1993 quote rosa nei CdA.

Fino al 2003 Legge costituzionale 30 maggio 2003, n. l, «Modifica dell’art. 51 della Costituzione». L’art. 51 della Costituzione («Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge») viene modificato, con l’aggiunta: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

Oggi, che fare?

Non sono uno studioso, né professore di questi temi, ho cercato di condividere come a 78 anni quasi da quel giorno magico, possiamo affermare che, nel sostegno delle donne lavoratrici, come in modo profetico già nel 1919 ci indicava il Prof. Zini, il diritto venne esercitato quel giorno ma in seguito la Politica ha fatto poco per la giusta equiparazione tra i generi o lo ha fatto privilegiando l’ Economia e gli interessi di pochi.

La distribuzione delle risorse dell’ Economia ha continuato a mantenere quella discriminazione verso l’eguaglianza delle donne lavoratrici che solo durante i due conflitti mondiali, per necessità dell’ Economia di guerra, si sono trovate invece equiparate o ravvicinate.

La situazione demografica italiana, la povertà crescente, i salari bassi e la perdita di potere economico di ampie fasce della popolazione ci interrogano se, come proposto da Clara E. Mattei, non dovremmo ridiscutere se il sistema capitalistico attuale e “le leggi dell’economia” non debbano essere riviste dando alla Politica più spazio per definire il Bene Comune, la felicità e l’interesse dei popoli e le regole per renderli attuali.

Donne, giovani oggi sono i nuovi poveri e poco si sta facendo per emanciparli e renderli motori di un nuovo modo di vivere.

Rimando ai testi di Clara E. Mattei per gli approfondimenti e le analisi ma spero questo articolo ispiri anche voi a contribuire per quanto in vostro potere a contribuire al dibatto che subordina la Politica, il bene comune e la Felicità, all’ Economia ed insieme rivedere gli obbiettivi della Società in cui viviamo.


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